In una giornata come quella di oggi, 23 maggio 2012, a vent’anni di distanza dalla strage di Capaci, ogni parola di speranza può sembrare sterile, in quanto siamo privi di una realtà politico-sociale facilmente contestualizzabile in quella che viene chiamata “lotta alla mafia”.
Già, perché a riempirsi la bocca di belle parole e di grandi intenzioni sono bravi tutti; lo dimostra la sfilata di uomini politici e alte cariche dello Stato che ogni anno affolla l’aula Bunker del Tribunale di Palermo, così come le piazze o i luoghi simbolo della lotta in nome della legalità.
In quella che si profila da sempre come una triste messa in scena di intenti lodevoli, tra bambini che gridano “No alla mafia” ,inaugurazioni di lapidi e corone di fiori, anche per quest’anno lo spettacolo è stato servito.
Almeno per il ventennale della morte del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca e dei tre ragazzi della scorta ci si aspettava qualcosa di più e ,con enorme sorpresa di chi ha avuto l’onore di parteciparvi, vogliamo raccontarvi di una Palermo diversa, che è sveglia e che non si è voluta abbandonare al solito teatrino strappa lacrime.
Ieri, in una piazza Vittorio Emanuele Orlando (sede del Tribunale di Palermo) gremita di persone, ha preso vita una catena umana che ha abbracciato fisicamente il Palazzo di Giustizia. Palmo a palmo, i cittadini palermitani che vi hanno preso parte, hanno testimoniato il loro dolore per il ricordo di una giornata triste ma allo stesso tempo hanno gridato il loro sostegno ai magistrati di oggi, che erano lì presenti e vistosamente emozionati.
Dopo un minuto di silenzio, i partecipanti hanno rotto le righe con un applauso fragoroso e si sono sistemati nella Piazzetta della Memoria del Tribunale palermitano, come studenti universitari pronti ad ascoltare una lectio magistralis. Gli insegnanti d’onore sono stati loro, i magistrati più discussi degli ultimi tempi: Antonio Ingroia, Nino Di Matteo, Giancarlo Caselli, Leonardo Guarnotta e Vittorio Teresi.
I loro interventi sono stati concreti e diretti come solo pochi uomini sanno fare, privi di retorica e di argomenti di circostanza.
Parole nude e crude hanno rotto un silenzio quasi religioso: “Ci sono due Italie – ha detto Ingroia – quella che non si piega, che ha coraggio e quella che ha paura della verità e che non sta solo a Palermo, sta nei palazzi romani e non”.
“Ci insegnano che magistrato onesto è quello che assolve anche se chiede la condanna e viceversa, ed è giusto sia cosi – ha detto Caselli – ma questa è una piazza che rifiuta il compromesso e che i magistrati devono stare a sentire”. “Voi rappresentate la parte sana della società civile – ha detto Guarnotta ai numerosi cittadini intorno – questa strada che porta da Palermo a Roma è lastricata di buone intenzioni, ma chissà perché nel suo percorso perde promesse e buone intenzioni”.
Ad intervenire è stato anche il giornalista antimafia per eccellenza Pino Maniaci, privato della sua Telejato da uno Stato che non è riuscito a difendere una pietra miliare del giornalismo d’inchiesta.
I cittadini palermitani hanno dimostrato ancora una volta che la loro sete di giustizia non è stata placata e che non si accontentano più di vivere in una nazione in cui chi fa bene il proprio mestiere deve sentirsi un condannato a morte.
“Dal ’92 poche cose sono cambiate- afferma uno dei partecipanti- perché non c’è la volontà di farle cambiare!”
Certo è che, proprio come hanno sostenuto i magistrati intervenuti all’evento, la politica dovrebbe mettersi da parte e permetter loro di fare il proprio mestiere senza intromissione alcuna. Com’è stato più volte ribadito, le promesse vengono fatte a Palermo ma è nel tragitto verso Roma che si perdono.
Dopo l’ennesima esposizione alle copiose lacrime di coccodrillo istituzionali, domani saranno sempre e solo i siciliani a risvegliarsi in una terra bella e maledetta; ad essi l’arduo compito di leccarsi le ferite e di ricominciare a districarsi nella (mala) vita di tutti i giorni.
Chissà che un giorno la sete di giustizia di coloro che hanno abbracciato il Tribunale di Palermo non si trasformi in un sorso di acqua fresca per tutti, un sorso d’acqua che prenda il nome di “tipizzazione del reato di concorso esterno in associazione mafiosa” ed “incompatibilità a cariche istituzionali e amministrative per gli inquisiti”, giusto per fare un esempio.
Sabrina Gottuso
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